Voce dei Berici – “Il vescovo tra la sua gente, visita pastorale ad Alvese”

Voce dei Berici – “Il vescovo tra la sua gente, visita pastorale ad Alvese”

Articolo sulla visita pastorale ad Alvese del vescovo di Vicenza, mons. Cesare Nosilia, sul numero de “La Voce dei Berici” di domenica 5 aprile 2009.

Versione stampabile: Alvese-di-Nogarole articolo visita pastorale Nosilia

Intervista a don Mario Geremia, parroco dal 1994

Una piccola parrocchia dove si respira la pace

Qui, nel silenzio dell’Alta Valle, sorge un eremo di spiritualità

Con 151 residenti, 143 cattolici e nove immigrati, di altre religioni, Alvese di Nogarole è una piccola e idilliaca comunità immersa nel verde dell’Alta Valle del Chiampo. A curarne le anime è un sacerdote dotto, viaggiatore, con grande esperienza: don Mario Geremia, mille viaggi alle spalle, una settantina di timbri sul passaporto. Ha scelto di vivere nella pace di Alvese per dare vita a un eremo, l’“Eremo della pace” appunto, che si rifà allo stile di vita benedettino.
Dal 1994, ad Alvese queste due anime – eremo e parrocchia – convivono e condividono, in una simbiosi che ha portato tanta spiritualità. La frazione non è grande, così come non lo è la parrocchia. L’anno scorso sono stati officiati due funerali e un battesimo. Ma al di là dei numeri, significativa è la qualità con cui don Geremia porta avanti le iniziative. «Per quanto riguarda la catechesi, è attivo un gruppo con tre catechiste, che gestiscono gli undici ragazzi della zona – spiega don Mario -. La Cresima è fissata in terza media, così da creare un cammino di formazione con i giovani. Poi c’è una sorta di catechesi alle famiglie, che incontro personalmente due volte l’anno, fermandomi a mangiare con loro, discutendo delle problematiche e ascoltando le persone». Nonostante i numeri non siano elevati, Alvese è molto attiva – spiega il parroco -. Abbiamo un coro polifonico composto da oltre venti cantori diretti da Elena Bauce. Abbiamo gruppi di volontariato che si prodigano nell’organizzazione di feste, così come nelle mansioni ordinarie della parrocchia. Anche per quanto riguarda l’eremo, ho trovato molte persone che hanno dato la propria
disponibilità nell’aiutarmi e nel sostenere le varie attività».

Approfondendo la situazione del volontariato, don Mario Geremia approfitta per far notare la grande disponibilità della gente di Alvese, un pozzo di risorse da questo punto di vista.
«La parrocchia può certo contare su molte persone di buona volontà che dedicano ampi spazi del loro tempo alla comunità. Soprattutto i giovani. Abbiamo un gruppo stabile di una trentina di persone, ma, in occasioni particolari, coloro che si spendono gratuitamente e che aiutano, diventano molti di più. Tanti giovani, che magari ora abitano a Trissino per ragioni di lavoro, salgono ad Alvese a dare una mano, così come seguono ogni settimana le celebrazioni qui. Un gruppo stabile si interessa alla gestione pratica dei fabbricati e delle esigenze della parrocchia e dell’eremo». «Per quanto concerne le iniziative di carità, qui non ci sono persone povere o situazioni di particolare bisogno. Tutti hanno una bella casa, nuova o ristrutturata. È gente che viene da una mentalità di lavoro e di risparmio, e non conosco famiglie in situazioni di indigenza. Lavorare nelle industrie del fondovalle, ha permesso ai residenti di dare un certo sviluppo alla zona». Un’importante attività della parrocchia, legata anche all’eremo, sono i corsi per fidanzati che don Mario, su approvazione diocesana, organizza in maniera personalizzata. Sono rivolti per lo più a situazioni particolari, anomale o di convivenza. «Con le coppie si costruisce un cammino attraverso l’importanza della religiosità universale, della dottrina cristiana e dei valori del matrimonio. Qui i fidanzati parlano, si confrontano, vivono un’esperienza di serena analisi interiore e di tranquillità».

Come si conciliano eremo e parrocchia?

«Direi che sono in simbiosi. Personalmente ho sia la nomina di parroco sia di fondatore dell’eremo, dal vescovo Pietro Nonis, il 13 ottobre 1994, giorno dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima. La gente di Alvese non sapeva nulla della cosa. Quando sono arrivato qui ho spiegato la nuova realtà alle famiglie, aiutato anche dal vicario del Vescovo. Dopo un po’ la gente ha capito che nulla era cambiato per la parrocchia e che, anzi, c’era una nuova ricchezza spirituale data dalla presenza dell’esperienza eremitica. Per quanto riguarda la quotidianità, devo dire che a 73 anni compiuti a volte alla fine di qualche giornata ci si sente appesantiti. Ma sempre sereni e felici di quello che si è fatto e vissuto».
La presenza dell’Eremo della pace, 42 posti, è molto singolare. Riceve continuamente visite da tutta Italia e dall’estero, circa mille persone all’anno tra venti e quarant’anni. «Qui vengono gruppi parrocchiali, giovani, animatori, gruppi scout, americani della caserma “Ederle” di Vicenza, persone singole che cercano pace. Pace è il termine più adatto per indicare questo luogo».
Nel 1994 costò un miliardo di vecchie lire, ma grazie a offerte di molti amici, don Mario Geremia l’ha pagato subito. Oggi contribuisce in maniera significativa al sostegno della parrocchia.

Come mai l’idea di fondare un eremo ad Alvese?

«Quando ero parroco a Magrè, il Vescovo mi aveva chiesto di mettere in piedi la canonica, che versava
in profondo degrado. Mi sono impegnato con costanza, chiedendo, una volta terminati i lavori, di poter avviare un eremo. Dopo un anno la canonica era a nuovo, così sono venuto quassù, dove il luogo era adatto». Don Mario Geremia non ha aspettato molto. Ha costruito la struttura dell’eremo, ha ristrutturato la vecchia casa canonica creando alloggi, ha riqualificato la chiesa con tinteggiature e abbellimenti. Recentemente, con 140 mila euro, ha rimesso a nuovo il vecchio campanile. Fra non molto compirà 75 anni e dovrà lasciare la parrocchia. «Mi piacerebbe rimanere per seguire l’eremo», dice questo prete dal viso semplice e pacato, grande amico di Madre Teresa di Calcutta. Con lei ha avuto molti incontri; le ha anche donato una cospicua somma per l’edificazione di un istituto e in sua memoria ha fatto scolpire da due artisti trentini una bella statua in cirmolo, che è stata posta su un altare laterale della chiesa. E la gente di Alvese continua a pregare la pace, la stessa pace predicata dal caro don Armido, il primo parroco di questa chiesa montana.

Nel 1948 l’erezione a parrocchia grazie a don Armido Spiandore

Un po’ di storia: Una chiesa in 40 giorni

Nel 1902, uomini e donne dell’intera frazione lavorarono con tenacia all’edificazione del sacro tempio, arrivando a dotarlo di un tetto in meno di un mese e mezzo

La chiesa parrocchiale di Alvese di Nogarole Vicentino ha come patrono San Giuseppe. Fu costruita nel 1902, a navata unica, su interessamento del compianto don Genesio Albarello, che amava definire la frazione “il giardino della parrocchia”. Uomini e donne dell’intera frazione concorsero alla sua edificazione, e in quaranta giorni la chiesa fu al coperto e benedetta nel novembre di quell’anno. Nei primi anni il parroco o un cappellano si portavano ad Alvese per le celebrazioni, per il catechismo della domenica e per altre funzioni. La canonica non c’era ancora e neppure il campanile. Soltanto – come riporta un documento – una tettoia coperta di paglia serviva per mettere il cavallo e una piccola campana chiamava la gente. Nel 1908 si costruirono le prime stanze che servirono come casa canonica e successivamente come scuola elementare. Dal 1910 si pensò di dotare la chiesa di un sacerdote stabile. Don Virgilio Ferrari, primo mansionario, vi rimase fino al termine della prima guerra mondiale. Nel 1912 si iniziò a costruire il campanile, terminato nell’ottobre dello stesso anno. Per qualche tempo successivo, essendo senza sacerdote, la chiesa poteva avere garantite le celebrazioni grazie ai frati francescani che salivano dal convento di Chiampo. Padre Ippolito Guggia rimase a lungo nella memoria della gente per la sua disponibilità e volontà nell’ufficio. Nel 1921 venne mandato don Luigi Maule, secondo mansionario, per sedici anni ad Alvese, a cui succedette don Giuseppe Fabbian, fino al 1945. Don Fabbian dovette a sua volta lasciare per motivi di salute. Il 28 maggio 1945, il vescovo mandò nella frazione don Armido Spiandore, un vero punto di riferimento per i decenni futuri della comunità. Don Armido trovò ad Alvese un’oasi di serenità e di salubrità. Nonostante le difficoltà del dopoguerra, riuscì a fare del piccolo nucleo una fervente comunità di fedeli, tanto che nel 1948 avvenne la svolta: la frazione di Alvese venne retta a Parrocchia, smembrandola da Nogarole. Don Armido fece molto per quella chiesa. Basti ricordare la costruzione del cimitero, iniziato nel 1947. Un’opera importante perché fino ad allora tutti i defunti erano trasportati fino a Nogarole, a 6 km di distanza, con strade impraticabili, soprattutto in inverno. Ottenuta l’approvazione del vescovo, i lavori iniziarono nel giugno di quell’anno. La prima tumulazione fu di un certo Giuseppe Rigodanzo di 75 anni, il 29 giugno 1947. Il cimitero venne ultimato in ottobre, con una spesa di 150 mila lire. Tra il 1948 e il 1956 la chiesa venne ampliata e riqualificata per contenere il numero crescente di fedeli. L’interno del tempio, in pietra rossa e rabescato di Chiampo, ha linee semplici rinascimentali. È stato fatto costruire da Teresa Lunari per ricordare il figlio Petronio Veronese, del Battaglione Danton della divisione partigiana autonoma Pasubio, caduto in combattimento nei pressi di Alvese durante la Resistenza. I dipinti del soffitto furono realizzati da Angelo Peruzzo nel 1955. Il San Giuseppe di una pala dietro l’altare è l’opera più interessante. Dal 1992 al 1994, dopo la rinuncia per malattia di don Armido Spiandore, ha amministrato la parrocchia don Eugenio Xompero, il saggio prete di Nogarole. Nel 1994 don Armido è venuto a mancare, e si è chiusa un’epoca, in silenzio. Quindi, l’avvento del secondo parroco, don Mario Geremia. Nel 1997 l’eremo della pace veniva benedetto. L’anno successivo si festeggiavano i cinquant’anni della parrocchia di Alvese, una chiesa silvestre dal paesaggio idillico. Lo stesso suo toponimo sottolinea la ricchezza naturale del luogo. Nel linguaggio alto-tedesco dei coloni Cimbri, infatti, Alvese era Alp (pascolo) e weise (prato), a indicare la zona prativa che ancora oggi si può notare. Per questo è sorto qui, in quest’oasi, un eremo di stampo benedettino: un luogo dove trovare la pace, il silenzio, la spiritualità, lontano dal traffico, dalla televisione e dai cellulari, immerso nel verde e nella tranquillità di Alvese.