Voce dei Berici – “L’eremo della pace”

Voce dei Berici – “L’eremo della pace”

Articolo di don Mario Geremia pubblicato sul settimanale diocesano di Vicenza “La Voce dei Berici” probabilmente nella seconda metà di ottobre o nei primi giorni di novembre del 1994, poco dopo il suo arrivo ad Alvese. Per la versione stampabile clicca qui: Voce dei Berici eremo

La comunità Vicentina si arricchisce di una piccola casa di spiritualità.

L’eremo della pace

Iniziativa del sacerdote diocesano don Mario Geremia, “esperto” in materia, aprirà i battenti a Natale ad Alvese, nell’alta Val del Chiampo

 

Don Mario Geremia, 59 anni, già arciprete di Magrè, ha utilizzato il suo “anno sabbatico” facendo una particolare esperienza di spiritualità che lo ha condotto a vivere nei monasteri benedettini e camaldolesi degli Stati Uniti, del Giappone e dell’India. Tornato in diocesi e nominato parroco della piccola comunità di Alvese nell’alta Val del Chiampo (domenica scorsa ha iniziato il so servizio pastorale), la notte di Natale – con l’autorizzazione e l’approvazione del Vescovo – aprirà la Casa di accoglienza e di spiritualità detta “eremo della pace”.

 

Da quando sono partito da Magrè, il 31 agosto 1993, molti si sono chiesti perché mai il loro parroco era andato a vivere nei monasteri benedettini e camaldolesi, e perché mai ora vuole fondare un eremo, cioè una casa di accoglienza e di spiritualità, chiamato “eremo della pace”, con uno stile di vita benedettina.

Dapprima una precisazione. Eremo significa vita solitaria nella preghiera, nella contemplazione, nel lavoro, nella disponibilità a chi ti chiede di condividere la tua esperienza almeno per qualche ora o qualche giorno.

I primi eremi sorsero subito dopo il tempo degli apostoli, sempre in periodi difficili della vita religiosa e civile, fondati da laici o preti che avevano capito che l’unica realtà è l’Amore di Dio, da condividere con gli altri.

Essi trovavano nei luoghi deserti dell’Asia e del Nord Africa dove vivere in povertà, guadagnandosi la vita o con qualche lavoro o con le offerte di qualche persona che ammirava la loro scelta e riteneva importante la loro testimonianza. A quanto si sa, nessun eremita è morto di fame, anzi, molti hanno avuto vita lunghissima.

Chi viveva così si chiamava eremita o monaco.

Per capire la grandezza di questa scelta e di queste persone basta pensare a sant’Antonio abate, il padre del monachesimo orientale. Di queste persone si servivano imperatori, papi e vescovi, per risolvere le più difficili e delicate questioni della vita religiosa e civile. Con l’estendersi della Chiesa, anche in Europa alcuni sentirono la necessità di dare una simile testimonianza, di essere cioè, più che con le parole con l’esempio, dei vangeli viventi.

Fra tutti emerse Benedetto da Norcia, semplice laico, chiamato il padre del monachesimo occidentale. Egli visse parecchi anni solo a Subiaco, poi, accettati dei discepoli, fondò i primi monasteri dove più monaci vivevano assieme in solitudine di gruppo (cenobio = vita comune), sotto la guida di un abate (= padre).

Il più famoso monastero fondato da Benedetto fu e resta Montecassino, dove è sepolto con la sorella S. Scolastica che, guidata dal fratello, divenne la madre delle monache nel senso di eremite (vita da sole) o cenobite (vita in comune). Si deve a S. Benedetto e ai suoi monaci il merito di avere ben saldato per i nuovi tempi la cultura decadente dell’Impero romano e l’irruenza dei popoli detti barbari, ma che sarebbero divenuti i padroni di tutta l’Europa, del Medio Oriente, del Nord-Africa.

E sempre, nei tempi difficili, il monachesimo, che nelle sue varie divisioni e sistemi di vita sempre si ispirò alla Regola di San Benedetto, divenne e resta il punto di riferimento della vita della Chiesa (alcune volte si può dire che abbia salvato la Chiesa). Personalmente sono sempre stato attirato dalla vita eremitico-monastica e questa inclinazione mi è sempre stata di sostegno nella vita sacerdotale. La Provvidenza mi ha voluto per 12 anni a Magrè, dove c’è una chiesa dedicata a San Benedetto: questa coincidenza mi ha fatto molto pensare e maturare lentamente una scelta, che mi è costata molti sacrifici, ricompensati però dalla grazia di Dio, che sentivo guidarmi per mano, superando ogni ostacolo come se tutto fosse già stabilito e molto semplice.

La Trinità-Provvidenza, nei tempi di Magrè, mi ha spesso dato l’intuizione che anche oggi la vita della Chiesa e della vecchia Europa sta passando un momento difficile e mi sembra anche d’intuire che l’Africa e l’Asia saranno i nuovi “barbari” che sostituiranno le persone di un continente ricco di cose, ma povero o poverissimo di valori. Alla decadenza dell’Europa si aggiunge quella del Nord-America (forte solo per le armi), la cui civiltà appena nata presenta già segni di piena decadenza aprendo varchi a popoli poveri di mezzi, ma ricchi di valori.

Per tutte queste ragioni ho pensato che invece di predicare e inveire contro tutto e tutti è meglio dare una testimonianza e creare per intanto della nostra diocesi un eremo, che potrebbe diventare cenobio (vita comune con altre persone), comunque un faro di luce, come dono particolare della benevolenza di Dio alla diocesi di Vicenza, per una porzione di Chiesa che, nonostante i limiti e difetti, vanta una forte tradizione di vita cristiana e grandi testimonianze di persone sante, sia laici sia preti sia religiosi, vivi e defunti.

Sono sicuro che il tempo mi darà ragione e che questo luogo, la terra di Alvese, che il Vescovo mons. Pietro Nonis mi ha messo a disposizione, diventerà terra benedetta a cui molte persone verranno per attingere come a una sorgente di acqua viva.

Appena entrato nella chiesetta di San Giuseppe in Alvese ho visto una pittura a destra del coro che raffigura l’Accoglienza di chi può verso chi non può. Sembra che l’autore abbia dipinto come un presagio.

Ora il presagio sta incominciando a diventare realtà. La notte di Natale 1994, accanto al ricordo della nascita di Gesù, nascerà l’eremo della pace.

 

don Mario Geremia